Matteo Manica, matematico: “L’AI ci dà i superpoteri, sta a noi scegliere come usarli”

«Dicono che la matematica sia la serva e l’ancella di tutte le discipline. Ed è vero. Non c’è una scienza che possa farne a meno. Disciplina meravigliosa, la matematica può cambiare il mondo, ma da sola, senza le altre discipline, rischia di essere astratta. Con l’intelligenza artificiale, per esempio, può essere applicata alle scoperte scientifiche e ai problemi industriali. Ecco io mi occupo di questo».
Matteo Manica è innamorato della sua materia, la matematica. Purché sia applicata. È Senior Research Scientist all’IBM Research di Zurigo, una gemma nascosta nel cuore dell’Europa dove lavorano premi Nobel e Turing Award e nascono le più avanzate tecnologie, dall’intelligenza artificiale al quantum computing.
Manica costruisce modelli di AI per migliorare i processi industriali, dal generare nuovi materiali più sostenibili fino a modellare nuove formulazioni chimiche.
Ha studiato ingegneria matematica al Politecnico di Milano, e fin dall’inizio ha scelto di lavorare in quello spazio dove la teoria incontra l’applicazione. «La matematica è una condizione necessaria. Tiene insieme ogni disciplina, ma da sola non basta. Servono altri strumenti, altri linguaggi per darle senso».
All’IBM Reasearch di Zurigo nel 2020, Manica e il gruppo in cui lavora, hanno realizzato qualcosa di mai visto prima: un laboratorio chimico interamente controllato dall’intelligenza artificiale. Hanno allenato modelli di linguaggio naturale, per intenderci modelli come ChatGPT, Claude, Granite e altri, con milioni di brevetti della chimica organica, costruendo un sistema capace di creare, in autonomia, nuove molecole.
«Funziona così: disegni una molecola su uno schermo e dei modelli di linguaggio specializzati ti dicono come costruirla, quali reagenti usare, quali passaggi seguire. Poi la procedura viene trasferita a un robot. E quel robot la realizza davvero. Nessuna formula scritta a mano, nessuna equazione. Solo un modello che sa leggere e scrivere nel linguaggio della chimica. Trattiamo le molecole come sequenze. È come se il modello traducesse una frase da una lingua all’altra: dal prodotto finale agli ingredienti di partenza».
Oggi Manica crea modelli per produrre prodotti più sostenibili.«Abbiamo collaborato e continuiamo a lavorare con grandi aziende per sviluppare tecnologie che supportino la creazione di materiali e processi più sostenibili: packaging per alimenti, formulazioni chimiche, modellazione del ciclo di vita delle batterie per migliorare durata ed efficienza.
37 anni, di Novara, liceo scientifico poi la scelta della facoltà. «Ero indeciso tra filosofia, matematica e medicina perché i miei genitori sono medici e per questo ho fatto anche il test. Poi grazie al consiglio di un professore ho scelto ingegneria matematica al Politecnico di Milano». Tre anni in uno spinoff a fare simulazioni numeriche di sistemi. «Ho lavorato su modelli per la vulcanologia, modelli per i processi di stampa, modelli per il flusso di sangue nelle arterie». Poi torna a studiare. Consegue un dottorato all’ETH di Zurigo, proprio sponsorizzato da IBM. «Facevo cose simili a quelle che faccio oggi, ma più applicate alla biologia o alla biologia computazionale». Lì inizia a usare modelli statistici e di machine learning, pensati per contesti ad alta densità di dati. «Prendevamo questi modelli che, di solito, trovano applicazioni in ambiti dove ci sono tanti dati facili da trovare, e cercavamo di applicarli in contesti, come quelli biologici dove non hai dati pronti per l’uso nelle fasi iniziali. L’impatto è pazzesco: riescono a descrivere sistemi molto complessi senza dover per forza imporre delle regole, delle equazioni».
Per un matematico come lui, abituato a costruire modelli a partire da formule, è stata una svolta. «Avendo studiato matematica ho sempre creato modelli a partire da equazioni». Ma lì ha iniziato a cambiare prospettiva. «Siamo passati dalla vecchia scuola che ha un approccio quasi newtoniano alla scienza a un approccio più guidato dal dato».
Prende un esempio semplice per spiegarsi: «La caduta di un grave. Lo vedi cadere e a un certo punto dici: sembra che ci sia una costante, che è l'accelerazione, e che dipende dalla massa. Allora ti crei il tuo sistemino che dice: la forza applicata dovrebbe essere una costante, g, moltiplicata per una variabile: la massa».
Finché il sistema è semplice, funziona. Ma appena la complessità aumenta, il paradigma cambia e non puoi modellare tutto.
Da qui lo shift: «Siamo passati da un approccio deterministico, in cui presupponi di sapere tutto, a un sistema dove sospendi il giudizio e dici: non so esattamente quante variabili ci siano, voglio che siano i dati a parlarmi».
La maggior parte dei progetti sono svolti con un approccio open source, che è quello in cui crede IBM perché dallo sviluppo collaborativo nella comunità open si ottengono i risultati migliori. «Facciamo una cosa che è molto simile a quella che può succedere in un ambiente universitario».
Un luogo meraviglioso per gli scienziati.
«La prima cosa che lo rende speciale è la posizione, perché siamo vicino al Politecnico di Zurigo, che penso sia tra le università migliori d'Europa. Non solo. Abbiamo la possibilità di interfacciarci con anche altre realtà accademiche di altissimo livello. E poi c’è una comunità di ricerca super vivace, caratterizzata anche da collaborazioni fra aziende come Microsoft, Apple, Google, Nvidia, Anthropic e OpenAI.
E ancora: è un’istituzione storica. È stato il primo laboratorio che IBM ha aperto fuori dagli Stati Uniti, nel 1956, e quando entri nel Think Lab respiri un’aria densa di eccellenza. Puoi incontrare esperti di AI, crittografia, fisica, quantum computing, simulazioni molecolari. Alcuni premi Nobel lavoravano qui. Vai in caffetteria e incontri più di 300 scienziati con cui confrontarti e da questa contaminazione continua possono nascere progetti capaci di cambiare le regole del gioco».
Matteo Manica, il suo futuro lo vede qui.
«Spero di trovare nuove applicazioni della matematica in contesti che abbiano davvero un impatto. La transizione verso industrie più sostenibili, per esempio, è una delle sfide più importanti. Penso ai beni di consumo, ai materiali che usiamo ogni giorno: se riesci a ottimizzare anche solo un processo produttivo, l’effetto sull’ambiente è enorme. Sono cambiamenti invisibili, ma profondissimi. Non fanno magari notizia come un nuovo farmaco, ma possono migliorare il mondo in cui viviamo. Lo fanno in silenzio, per tutti».
Scienziato e musicista, Manica sostiene che anche nella sua passione per la musica c’entri la matematica. «Ho passato tanto tempo a suonare, suono ancora a un livello decente il basso elettrico e il contrabbasso. Ma ho suonato anche il flauto traverso, il sax contralto. E la musica ha moltissima matematica dietro: la corda vibrante, le equazioni che descrivono l’accordatura, l’evoluzione dell’armonia, i sistemi dodecafonici di Schoenberg».È sempre la matematica ad accendere la curiosità.
«Mi ha dato la scintilla per interessarmi alle cose. E se la matematica è la serva e l'ancella di tutte le scienze, i bassi hanno lo stesso ruolo nella musica: senza quelli non funziona nulla e da soli non vogliono dire niente».
Cosa hai imparato nella tua carriera che può servire a tutti noi? «La lezione più grande è che la matematica non è difficile. Forse dovremmo solo ripensare a come la insegniamo. Io non ho una ricetta, ma so che è molto più facile di quanto sembri. Bisogna solo non spaventarsi Serve pazienza. Serve allenamento, come in ogni cosa. Non c’è niente di speciale in quello che ho fatto. Si sbaglia tanto, ma se insisti, se non ti fai paralizzare dalla complessità, un passo alla volta puoi arrivare ovunque»
Anche entrare in un istituto di ricerca come IBM Research per Manica non è difficile. «Non contano le onorificenze, i premi, cosa c’è scritto nel curriculum. Quando assumiamo qualcuno, tutto questo ha un ruolo assolutamente secondario. Ci sediamo davanti a una lavagna o a uno schermo scriviamo un problema e cerchiamo di risolverlo insieme. È lì che capisci come pensa una persona».
L’intelligenza artificiale cambierà il modo di fare scienza? Arriverà a scrivere un articolo scientifico e a fare una scoperta? «Cambia il modo di fare scienza, quello sì. Molte cose oggi vengono già scoperte o suggerite dai modelli stessi. Però dobbiamo definire cosa vuol dire scoprire. Non ho l’ansia per questo. Magari l’AI scriverà 10 pagine di un articolo scientifico e lo farà meglio di noi, ma senza i nostri 3 bullet points che descrivono un’idea non può fare nulla. Avrà un grandissimo impatto su molti ambiti industriali o della società. Bisogna usarla nella maniera corretta. In IBM usiamo modelli dimensionati per uno specifico problema, non hanno eccessivi costi, né eccessivi consumi e sono specializzati. La maggior parte di essi può essere quasi utilizzata sul tuo computer. A noi ricercatori, l’AI darà superpoteri. Saremo come ricercatori aumentati…». E forse, nel silenzio dei laboratori, inizieremo a porci domande nuove.
La Repubblica